Vai al contenuto

Luca Serasini – Pedagogia, arte e ambiente: Land Art come attività educativa

    Rubrica “al microfono”
    OFFICINA N° 42 – pag 102-105
    Luglio -Settembre 2023

    Raul Armando Amoros Hormazabal
    Professore di Pedagogia e didattica dell’arte, Accademia di Belle Arti di Palermo. raul.amoros@abapa.education

    Il lavoro dell’artista pisano Luca Serasini esemplifica una ricerca artistica non convenzionale, basata sulle esperienze dei pionieri del Land Art, adattata ai nostri giorni e talvolta aggiornata con l’uso dei new media. Serasini evidenzia l’emergenza ambientale e il binomio uomo-natura proponendo nuovi spazi per la fruizione artistica. Sebbene la sua poetica si interessi a tutto ciò che è nuovo, le sue radici concettuali risalgono alle riflessioni che mettono in evidenza la possibilità di mobilitarsi ed esporre in siti diversi, proponendo una nuova organizzazione delle relazioni e schierandosi allo stesso tempo contro il radicamento in un luogo particolare. La costante di questi “pellegrinaggi artistici” è lo spazio pubblico (naturale e urbano) come luogo dove costruire l’opera.

    In tutti i tuoi lavori la fruizione partecipativa è di vitale importanza. È possibile educare con l’arte attraverso opere site-specific interattive?

    Penso proprio di sì. Credo che la partecipazione, l’immersione “totale” di un visitatore all’interno di un’installazione e l’utilizzo di strumenti tecnologici interattivi permettano, insieme, di creare un’esperienza emotivamente significativa per il visitatore attraverso la quale è possibile veicolare contenuti di diverso genere. A me interessa ritrasmettere, far riconoscere i riti e i miti con- nessi alle stelle, alle tradizioni ormai dimenticate, al senso del sacro che oramai non fa più parte della nostra storia personale. Credo che questa mancanza sia responsabile di tante fughe (dalla realtà verso il virtuale, dallo spirito verso il materiale) che stanno “scollando” parte dell’umanità dalle proprie radici. Grazie alla Land Art, che mi permette di realizzare opere d’arte dalle dimensioni (in teoria) “sconfinate,” riporto il rapporto tra l’uomo e la Natura alle sue giuste proporzioni. Costringo il visitatore a ricordarsi di essere una parte infinitesima dell’universo che per un attimo deve lasciare da parte l’antropocentrismo che caratterizza sempre di più questa nostra epoca. In questo senso sì, cerco di educare un po’, attraverso le sensazioni personali che vengono percepite, al rispetto di questo nostro pianeta, l’unico in cui è possibile vivere, l’unico pianeta non arido all’interno di questo nostro sistema solare.

    Quali sono oggi, secondo la tua esperienza, gli spazi outdoor dove poter costruire o sviluppare un’opera d’arte? Perché scegliere questi spazi?

    Nella ricerca di spazi silenziosi, vasti, quasi monocromatici (siano esse colline, spiagge o deserti) cerco un’esperienza personale con il sublime, un rapporto tra me e lo spirito, in cui sento di appartenere, per un attimo solo, alla Zoe, alla vita indistruttibile. In questo nulla, oltre la terra, non rimane che volgere lo sguardo in alto. E questo è quello che cerco di trasmettere ai visitatori, a coloro che, per curiosità o interesse vengono a visitare i miei lavori. Fare esperienza con il sublime, o per dirla meglio, col “numinoso”. Ritornare “primitivi”, ritorna- re ad avere un rapporto sacro con la natura perché è da essa che passa il nostro rapporto con lo spirito. Per me il paesaggio desertico, aperto, sconfinato, è il luogo più isolato possibile, (in totale contrapposizione alla città ad esempio), in cui l’unico suono è quello del vento. Sono luoghi caratterizzati dall’assenza, soprattutto di quella dell’uomo, dei suoi interventi, dei suoi guasti. Cerco luoghi vergini come tele sulle quali operare, progettare, costruire un’idea che forse sarà vista solo da poche persone perché credo che questo sia il senso della Land Art: stare da soli dentro una grande opera d’arte, entrarci in relazione, meditare, perdersi in essa.

    A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, tracciati sul terreno, tagli, buchi, asportazioni e interventi effimeri diventarono le principali azioni artistiche dei primi land artists, i quali avevano come obiettivo non solo svegliare la percezione del pubblico verso la convulsa realtà del tempo o uscire dai vecchi schemi e dalle vecchie categorie culturali di riferimento, ma anche richiamare l’attenzione ai problemi dell’ambiente attraverso la realizzazione di opere site-specific. Come si è sviluppato il rapporto arte-natura?

    L’attenzione da parte degli artisti è molto alta anche oggi. Sono moltissime le installazioni che denunciano la situazione climatica (ricordo, solo per citarne una, Ice Watch di Olafur Eliasson) ma personalmente non sono molto ottimista che in questo modo si possano risolvere i problemi dell’ambiente. Spesso mi sono chiesto quanto politiche possano essere le opere d’arte che denunciano i problemi ambientali, come pure quelli relativi alle migrazioni, alla guerra, ai diritti. Sono importantissimi atti di de- nuncia, su questo non ci sono dubbi! Ma per cambiare il corso degli eventi dovrebbero colpire, scuotere l’animo di tutta quella catena di persone, che irresponsabilmente alimentano i tan- ti, troppi problemi che affliggono il nostro pianeta. O che muovono verso le guerre. Questo non mi pare che stia accadendo.

    Possiamo affermare che la definizione operativa di questo rapporto è legata al periodo storico che attraversa, in quanto questa dipende da svariati fattori e ha subito modifiche sostanziali con lo sviluppo dei nuovi media. Come utilizzi la tecnologia nelle tue installazioni artistiche?

    L’interazione e il coinvolgimento è un aspetto molto importante del mio lavoro. Il senso di utilizzare, aggiungere sistemi elettronici alla mia arte deriva essenzialmente dal bisogno di far interagire i visitatori fisicamente, materialmente. Con i loro gesti, consapevoli o no, i visitatori creano un rapporto unico con il mio lavoro. Cerco sistemi interattivi che possano sorprendere, anche spiazzare il visitatore (trovarsi davanti a un vecchio telefono in un campo incolto che squilla quando una persona si avvicina è un’esperienza da provare). Come pure, in uno dei miei rari lavori sui naufraghi dal titolo Gli invisibili (2015), far emergere l’immagine di un barcone da una fotografia di un mare calmo solo se il visitatore si avvicina al light box per leggere la didascalia. Nell’installazione interattiva indoor Saptarishi/Dispose (2018) invitavo i visita- tori a salire sulle stelle del Grande Carro, realizzato in legno, per illuminarle e ascoltare le loro storie.

    Le tue ultime installazioni dialogano apertamente con il mondo della fi- sica, astronomia e onde gravitazionali. Come pensi che queste esperienze immersive potranno diventare azioni didattiche per riflettere sulla vita attuale dell’uomo ed il suo rapporto con gli altri, la natura e il tempo?

    Con il progetto Costellazioni cerco di riportare l’attenzione delle persone all’importanza delle stelle, che per la maggior parte sono solamente un ornamento del cielo. Con l’installazione Les étoiles binaires (2019), realizzata in una spiaggia del Marocco durante una residenza d’artista, ho iniziato invece a interessarmi ad altri fenomeni fisici, in generale invisibili all’occhio umano. Avevo scoperto che le stelle della dimensione del Sole rara- mente nascono da sole ma in coppia o in sistemi multipli che ruotano intorno a un asse comune. Mi è sembrato un fatto molto romantico: pensare di non nascere mai da soli nell’immensità del cielo buio. Per le onde gravitazionali ho lavorato con il concetto di energia: l’arrivo di un’onda di questa natura è un fenomeno invisibile ai sensi umani ma di estrema importanza per i fisici. A una distanza (di tempo e spazio) infiniti lo scontro di due buchi neri deve sprigionare una tale quantità di energia che riesce ad alterare lo spazio-tempo propagandosi fino al nostro pianeta, fortunatamente senza danneggiarci. Una delle quattro antenne per la rilevazione di questo fenomeno si trova a Cascina, nel Comune di Pisa (EGO-VIRGO). Per l’installazione di Land Art interattiva realizzata per VIRGO, dal titolo Frange d’Interferenza, ideata insieme al musicista elettronico Massimo Magrini (aka Bad Sector) mi sono immaginato che un’onda gravitazionale, in arrivo sulla Terra, forgiasse un’immensa impronta sul terreno. Ho quindi cercato di rendere visibile un fenomeno invisibile agli occhi (oltre che difficilmente comprensibile) e grazie a una app georeferenziata creata da Magrini i visitatori potevano ascoltare il flusso sonoro, ispirato ai suoni delle onde gravitazionali, cambiare in relazione alla loro posizione all’interno dell’installazione.

    Fra breve, insieme a Marco Ricci del Mastro e Francesca Cavallini inaugureremo un nuovo ciclo di lavori intitolati The Marconisti/Il Sogno e cerchiamo di mettere in relazione le scoperte di Guglielmo Marconi, il codice morse e la mitologia e mistica ebraica in un set di installazioni meditative e interattive.